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Evergrande non sarà una nuova Lehman Brothers. I commenti dei gestori

9/24/2021 | Daniele Riosa

Il caso della società immobiliare rappresenta comunque un campanello d'allarme per gli investitori e un avvertimento nei confronti dei settori ad alta leva nel sistema, con valutazioni stratosferiche


I mercati finanziari sono stati questa settimana un po' in agitazione per Evergrande, società immobiliare cinese, esplosa sulla cresta del boom del Dragone. È molto grande, molto indebitata (circa 300 miliardi di dollari, secondo le notizie) e possiede una squadra di calcio, il che di certo suggerisce qualcosa sul suo approccio agli investimenti e sulle ragioni per cui oggi si trova in una posizione finanziaria scomoda.

Come spiega Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm, “la società sta avendo alcuni problemi di flusso di cassa e potrebbe essere insolvente, almeno per quanto riguarda una parte del suo debito. Si tratta di un tipico caso di mala gestione aziendale sfociata in una crisi di liquidità. Nell'ultimo esercizio di mercato la società aveva fatto registrare profitti ragguardevoli. Adesso, complice un eccessivo ricorso ai prestiti, qualche investimento sbagliato e gli effetti della pandemia, il colosso potrebbe essere in difficoltà a ripagare parte dei suoi debiti e ciò porterebbe la società al fallimento per mancanza di liquidità. La storia poi è condita dall'emissione incontrollata dei titoli di debito a privati e aziende finanziarie, alcuni dei quali rifilati anche a fornitori e comuni cittadini che rischiano ora di doversi mettere in fila per sperare di vedere ripagati i propri crediti. I bond dell'azienda sono già di fatto considerati come carta straccia e vengono scambiati per cifre vicine ai 20 centesimi al dollaro, i valori di un'azienda praticamente in default”.  

Insomma, “in questa storia sembrano darsi appuntamento tanti dei vizi strutturali del capitalismo cinese: In primis un settore immobiliare cresciuto in maniera ipertrofica e diventato troppo grande anche rispetto alle dimensioni abnormi dell'economia cinese. E poi un elevato ricorso al debito privato per finanziare la crescita economica, peraltro in un ambiente regolamentare non del tutto maturo. Il tutto in un contesto in cui il governo di Xi sta intervenendo per ridefinire la scala di potere tra pubblico e privato e cercare di porre rimedio agli eccessi della crescita economica, ponendo anche limiti regolamentari alla possibilità di crescere a debito”.

Come andrà a finire questa vicenda? Il gestore risponde che “quando un'azienda fallisce, causando rischi per la collettività, lo Stato ha davanti principalmente tre strade: la nazionalizzazione, il bail out e la soluzione di mercato (quindi la bancarotta). Riteniamo che il governo cinese abbia, in ogni caso, le capacità per intervenire qualora questo si rivelasse necessario. Inoltre, il suo campo di azione non è limitato né dalla necessità di rispondere alle istanze dell'elettorato né dal pregiudizio, ancora presente in Occidente, su un'eventuale nazionalizzazione. Il caso di Huarong, nel quale all'intervento pubblico è seguita la presa di controllo dell'azienda da parte di un consorzio di aziende statali, è un precedente rilevante”.

“Tutto ciò - prosegue  l’economista - fa sperare in una ‘soluzione gestita’ di qualche tipo. Se dovesse verificarsi, la volatilità del mercato dovrebbe dissiparsi, anche se la crescita cinese potrebbe rallentare. Di per sé nessuna analisi può aiutare a fare previsioni, gli investitori generalmente compiono scelte secondo uno schema binario: da una parte quelli che credono che alla fine il governo cinese riuscirà a gestire questa e altre situazioni simili in futuro in modo efficace, dall'altra coloro che credono che la situazione gli sfuggirà di mano. Per quel che vale, diremmo che la Storia è stata finora dalla parte del governo e della sua capacità di gestire questo tipo di problemi”.

Tuttavia “non possiamo sottovalutare la complessità del sistema cinese. Da parte nostra continuiamo dunque a ritenere, nonostante un outlook positivo per l'economia cinese, che una scommessa decisa sull'azionario del Dragone sia ancora prematura. D'altra parte continuiamo a restare soddisfatti dell'andamento dell'obbligazionario governativo che abbiamo incluso nei nostri portafogli a gennaio e che si è mosso in controtendenza rispetto all'aumento del rischio di mercato (agendo come un porto sicuro) a ulteriore riprova della maturità di questa asset class”.

“In generale - conclude Rossignoli - anche alla luce del posizionamento del mercato con valutazioni relativamente alte, il caso di Evergrande è un altro mattone che va ad arricchire il muro del rischio. Sicuramente sarà un elemento da considerare nel posizionamento dei portafogli da qui in avanti”.

Sempre sul lato investimenti, Pascal Blanqué group chief investment officer e Vincent Mortier, deputy group chief investment officer di Amundi evidenziano come il caso Evergrande sia “un campanello d'allarme per gli investitori e un avvertimento nei confronti dei settori ad alta leva nel sistema, con valutazioni stratosferiche. In futuro, è probabile che vengano allo scoperto altre problematiche relative all’indebitamento, che richiederanno ulteriore attenzione nella selezione del credito in tutti i settori di attività”.

I gestori si aspettano “una maggiore volatilità nei mercati globali nei prossimi mesi e non solo dalla Cina. Altre fonti di incertezza sono rappresentate dai negoziati in corso sul tetto del debito statunitense e dall'impennata dei prezzi dell'energia in Europa. Tutto ciò avviene proprio quando i mercati finanziari sono stretti in termini di valutazioni. Riteniamo pertanto che sia giunto il momento di essere neutrali in termini di allocazione del rischio e di aumentare il controllo su quelle aree che potrebbero essere colpite da ricadute (ad esempio, obbligazioni high yield asiatiche, prezzi delle materie prime legate all’edilizia)”.

“In generale nonostante la percezione del rischio sulla Cina rimanga elevata nel breve periodo, rimaniamo costruttivi sugli asset cinesi nel lungo periodo per motivi strutturali (il riequilibrio della crescita attraverso la domanda interna, una crescita nei settori strategici, l’internazionalizzazione del renminbi e la sua influenza a livello mondiale)”, chiosano i manager di Amundi.

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