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Mercati, meglio il reddito fisso delle azioni

11/21/2022 | Redazione Advisor

Il quadro è in miglioramento ma l’economia globale continua a rallentare e i margini delle società continuano a contrarsi. Il commento di Edmond de Rothschild AM


Nelle ultime settimane sono emersi segnali incoraggianti che stanno rendendo le prospettive meno fosche per i mercati. “Non dobbiamo trarre conclusioni affrettate, ma c'è aria di cambiamento” osserva Benjamin Melman, global chief investment officer, Edmond de Rothschild Asset Management. “La Cina ha iniziato ad allentare la propria politica di zero-Covid, l'economia globale potrebbe rallentare ma la situazione è meno deteriorata del previsto, i prezzi del gas sono scesi bruscamente ovunque e le scorte sembrano abbastanza alte da permettere di superare l'inverno. Soprattutto, vi sono segnali incipienti che indicano un rallentamento dell'inflazione statunitense. Potremmo anche ricordare la possibilità di colloqui di pace ventilata al Cremlino dopo la ritirata dell'esercito russo da Kherson. Secondo la stampa, l'Occidente e la stessa Ucraina potrebbero essere sulla stessa lunghezza d'onda, anche se in modo più discreto”.

 

Secondo Melman non c’è dubbio che la questione decisiva riguardi l’andamento dell'inflazione statunitense, cioè se questa si ridurrà o meno. “L'impennata dell'inflazione è iniziata negli Stati Uniti ed è l’elemento che ha avuto il principale impatto sui mercati quest'anno. Va da sé che un piccolo calo non rappresenta un segnale direzionale, ma è rassicurante che il rallentamento dell'inflazione sia stato osservato nei beni e servizi in generale e non solo in componenti isolate. Poiché i prezzi delle materie prime e dei trasporti sono tornati alla normalità e le linee di produzione sono tornate in funzione, è logico che si assista a un rallentamento dell'inflazione dei beni. Inoltre, con il calo dei prezzi degli immobili e la forte diminuzione dei nuovi affitti, possiamo aspettarci che anche l'indice degli affitti rallenti nella seconda metà di quest'anno. Nonostante tutto ciò, l'inflazione farà fatica a scendere sotto il 4% se i salari continueranno a crescere di circa il 5%. Il mercato del lavoro è ancora molto rigido. La Fed sarà costretta a tenere d'occhio i dati sull'occupazione, ma se l'inflazione dovesse tornare a livelli più ragionevoli lo scenario cambierebbe. Non sarebbe un ritorno alla normalità, ma segnerebbe la fine delle persistenti revisioni al rialzo del tasso dei Fed Funds, ridurrebbe la volatilità del mercato obbligazionario da livelli estremi e, quindi, la volatilità su tutti i mercati”.

 

Tuttavia il contesto è ancora incerto e i rischi non mancano. Come posizionarsi allora sui mercati? “A fine settembre eravamo ancora cauti sulle azioni, conservando la liquidità per azioni più tattiche” spiega Melman. “Da allora abbiamo gradualmente aumentato l'esposizione azionaria verso una posizione neutrale. Di fronte alla situazione odierna, ci atteniamo ancora a questa posizione, pur rimanendo tattici. I mercati azionari hanno già registrato un forte rally, ma una recessione è ancora possibile. L'economia globale continua a rallentare e i margini delle società continuano a contrarsi. Questo ci lascia una scarsa visibilità sui mercati azionari, che però potrebbero continuare a salire fino alla fine dell'anno, soprattutto in caso di ulteriori segnali di disinflazione”.

 

Riguardo al dollaro, se l'inflazione statunitense ha già raggiunto il proprio picco, il biglietto verde dovrebbe stabilizzarsi in quanto il differenziale dei tassi d'interesse tra gli Stati Uniti e il resto del mondo si ridurrebbe logicamente. “Riteniamo che sia giunto il momento di aumentare l'esposizione al debito dei Paesi emergenti, un segmento che trarrebbe vantaggio dal pivot della Fed, dalla stabilizzazione del dollaro e dall’allentamento della politica zero-Covid della Cina. Stiamo anche aumentando la duration del portafoglio con i Treasury statunitensi e il debito corporate investment grade, mentre rimaniamo piuttosto cauti sulla duration europea. I mercati si aspettano già che la banca centrale aumenti i tassi un po' più del 2,75%, ma l'elevata inflazione in Europa e la scarsa visibilità sulla politica della Bce ci suggeriscono di procedere con maggiore cautela” conclude Melman.

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