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Banche italiane: il salvataggio finisce nell'impasse europea

7/8/2016

La stampa finanziaria della City sostiene Renzi contro la Germania: non c'è motivo di rispettare le regole del bail-in se la moneta unica è a rischio


L'Economist, e quindi la City, appoggia Renzi che però dovrà vedersela con l'intransigenza della Germania e dei suoi satelliti nord europei. Può riassumersi così l'impasse in cui sono finite le banche italiane, strette tra le regole stringenti della Bce sui bilanci, la montagna di sofferenze  e l'andamento della Borsa che da inizio anno ha penalizzando i titoli del comparto. Bene, secondo il settimanale finanziario britannico, per salvare le banche italiane (leggi Banca Mps) "non c'è motivo di rispettare alla lettera le regole, se questo dovesse mettere a rischio la moneta unica". Più o meno quello che pensa l'esecutivo Renzi che però deve vedersela con i partner europei.


E proprio ieri il presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeoren Dijsselbloem, pur dicendosi preoccupato dalla sorte delle banche italiane, ha ribadito che l'Italia deve rispettare il bail-in. "Altri Paesi sono riusciti a ristrutturare le proprie banche con mezzi pubblici e gli italiani non lo hanno fatto allora. Ora abbiamo regole più severe" ha aggiunto Dijsselbloem: difficile non immaginare che le sue parole non siano condivise dalla Germania.

Dalla Bce, a guida Mario Draghi, arrivano delle aperture per un intervento pubblico in grado di evitare il peggio (sempre secondo The Economist la crisi delle banche italiane può innescare la prossima grande crisi europea). Ma il tempo a disposizione è poco: in molti credono che gli stress test del 29 luglio, i cui risultati non saranno resi noti, renderanno comunque necessario un intervento dello Stato. Il problema per Renzi sono gli obbligazionisti subordinati di Mps, circa 60 mila, sei volte quelli coinvolti dalla risoluzione di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti. Se vincerà la linea della Germania, in caso di ricapitalizzazione, gli obbligazionisti della banca senese dovrebbero accettare una sforbiciata e la conversione in azioni dei titoli. Ma è quello che Renzi non vuole.

E nemmeno l'Eurotower. Draghi teme l'effetto panico e la conseguente fuga dagli sportelli in Italia: Mps non deve diventare la Northern Rock italiana. Secondo la banca d'affari americana Morgan Stanley gli stress test dell'Eba, il cui esito è atteso il prossimo 29 luglio, "comporteranno per le autorità la necessità di affrontare la ricapitalizzazione delle banche italiane" e, questa la conclusione della banca americana, "apriranno la via a un'iniezione di denaro pubblico, visto che eviterebbe che l'8% delle passività venga sottoposto al bail-in" si legge in un recente report che ha suscitato non poche polemiche in Italia.

Intanto, da alcune ricostruzioni comparse sulla stampa, il governo starebbe studiando un piano di emergenza per salvare Mps (ed eventualmente intervenire per risanare altre situazioni di difficoltà) che prevede la creazione di un secondo fondo privato simil Atlante (il nome scelto questa volta sarebbe Giasone) con cui sostenere le banche nelle operazioni di aumento di capitale e soprattutto nello smaltimento dei crediti deteriorati. Al nuovo fondo parteciperebbero Atlante (che ha ancora a disposizione 1,7 miliardi), la bad bank del Banco di Napoli (SGA), Cassa Depositi e Prestiti e altre banche, fondi o casse.

Ma qual è lo stato degli istituti italiani finiti di nuovo sotto attacco dalla specualzione internazionale? Il ministero dell'Economia ha stimato a fine 2015 in circa 360 miliardi di euro il totale dei crediti deteriorati in pancia alle banche italiane. La stessa cifra comapre in una nota degli analisti di Berenberg dello scorso 16 giugno, di cui 210 milioni di euro in sofferenze. Stime più contenute, invece, sono quelle di S&P Global Market Intelligence, che considera però i primi 13 istituti italiani quotati a Piazza Affari, i quali avrebbero accumulato 260 milioni di euro in crediti deteriorati e che necessiterebbero di almeno 37 miliardi di capitali freschi (per coprire almeno il 60% dei debiti).

Secondo Morgan Stanley, sono due invece le banche più vulnerabili: il Banco Popolare e Mps, che ai prossimi stress test del 29 luglio potrebbero vedere il loro coefficiente patrimoniale, Cet1, scendere al di sotto del 5,5%, che era il minimo richiesto negli stress test del 2014. Banco Popolare ha precisato che l'approccio seguito dagli analisti della banca americana è "lacunoso e conduce a risultati gravemente infondati" e ha annunciato che "si riserva ogni opportuna azione nelle dovute sedi a tutela della propria immagine e dei propri azionisti". Tuttavia, gli esperti delle banca d'affari ritengono che Mps sia la banca più a rischio e potrebbe essere costretta a rafforzare il capitale di 2-6 miliardi di euro.

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