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Risparmio gestito, gli investitori italiani anticipano la Brexit

7/28/2016 | Francesco D'Arco

I deflussi registrati dall'industria alla fine di giugno (-5,5 miliardi) confermano che la clientela retail e istituzionale non si fidava del referendum inglese. Positivi solo i flessibili. Ma nel semestre cresce il patrimonio.


La conferma definitiva che gli investitori non si fidavano del referendum inglese è arrivata dai dati Assogestioni: nel mese di giugno clientela retail e istituzionale hanno tirato i remi in barca e disinvestito determinando il primo segno meno dell'industria dopo 28 mesi consecutivi di raccolta netta positiva. Bisogna infatti risalire al mese di gennaio 2014 per vedere un saldo negativo, che però si fermava a -1,5 miliardi di euro. A giugno di quest'anno, probabilmente anche per il panico pre-brexit, i flussi sono invece negativi per oltre 5,5 miliardi di euro, suddivisi quasi equamente tra gestioni collettive (-3 miliardi) e gestioni di portafoglio (-2,5 miliardi).

 

Se si entra nel dettaglio della raccolta dei fondi comuni solo i prodotti flessibili evitano il segno meno chiudendo giugno con un saldo in crescita di 2 miliardi, mentre azionari e obbligazionari devono fare i conti rispettivamente con deflussi per 1,9 e 1 miliardo. I deflussi di giugno non impediscono però all'industria di chiudere il semestre con un bilancio positivo per 27,5 miliardi di euro e un patrimonio complessivo di oltre 1.867 miliardi, in crescita del 5% rispetto al primo semestre del 2015 che si è chiuso con 1.778 miliardi di asset in gestione.

 

A livello di società si distinguono, alla fine del mese, il Gruppo Intesa Sanpaolo, con una raccolta netta di 629 milioni di euro, UBI Banca, con +622 milioni, JP Morgan AM, con 305 milioni, Credem, con 278 milioni, e Anima Holding, con 251 milioni. 

 

Da segnalare a parte i forti deflussi del gruppo Generali (-4,5 miliardi in un mese) e l'andamento della raccolta di Poste Italiane e Credit Suisse: la prima chiude il mese con flussi positivi per oltre 3,9 miliardi, soprattutto a causa della chiusura di alcuni mandati di gestione affidati a Credit Suisse che, di riflesso, chiude giugno 2016 con deflussi per oltre 3,7 miliardi.

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