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Emergenti, ecco le armi per difendersi da una frenata

7/22/2019 | Daniele Riosa

Botham (Schroders): “Questi mercati godono di alcuni vantaggi rispetto a quelli del mondo sviluppato, vessati invece da una crescita lenta e tassi di interesse bassi”


“I mercati emergenti stanno godendo di alcuni vantaggi rispetto ai loro cugini del mondo sviluppato, vessati invece da una crescita lenta e tassi di interesse bassi. Se dovessimo assistere a un rallentamento, gli emergenti avrebbero ancora una serie di armi a disposizione per difendersi”. Questo perché, come spiega Craig Botham, senior rmerging markets economist di Schroders, “fortunatamente per i mercati emergenti, la politica monetaria è un’area in cui la convergenza con i mercati sviluppati è ancora abbastanza lontana”.

“Rispondere a futuri rallentamenti – argomenta l’analista - sarebbe seriamente sfidante per le banche centrali dei mercati sviluppati, dato che i tassi sono già negativi in alcune zone. Il quantitative easing e gli altri strumenti non convenzionali vengono considerati sempre più come prima risorsa piuttosto che come ultima. Nel mondo emergente tuttavia non c’è necessità di discostarsi dal copione già testato. I tassi nominali sono in territorio positivo in tutta l’area e in gran parte lo sono anche i tassi reali. I policymaker non hanno ancora dovuto affrontare il vincolo dello “zero lower bound”, che spinse le banche centrali dei Paesi sviluppati ad addentrarsi nel territorio del QE. Inoltre, le condizioni monetarie esistenti non sono ancora inflazionistiche. Se l’economia dovesse aver bisogno di supporto, non c’è niente che impedisca alle banche centrali emergenti di agire”.

Le banche centrali emergenti “si trovano in questa situazione in gran parte dei casi perché hanno mantenuto una posizione molto cauta nel 2018. Con una Fed falco, che sembrava voler continuare ad alzare i tassi nel corso del 2019, molte banche centrali emergenti hanno dato forse troppa importanza all’inasprimento delle loro condizioni monetarie. Anche quando hanno optato per un allentamento, si è trattato generalmente di una manovra modesta, che non ha portato i tassi reali in territorio negativo. Dopo la svolta da colomba della Fed, questa cautela sembra ora eccessiva, tranquillizzando i banchieri centrali che potrebbero voler optare per un allentamento in risposta a una domanda globale più debole”.

Un altro elemento a supporto di questa tesi “riguarda il contesto storico dell’inflazione negli emergenti più generale. Uno dei successi di cui si parla meno quando ci si riferisce agli emergenti è il calo strutturale dell’inflazione. Nonostante il recente aumento in Turchia, l’andamento dell’inflazione a livello regionale negli emergenti negli ultimi 20 anni è stato moderato e stabile. In parte ciò è legato al contesto di minore inflazione a livello globale, ma anche i miglioramenti delle politiche e della credibilità negli emergenti hanno avuto un ruolo. Ciò rafforza ulteriormente le armi a disposizione delle banche centrali emergenti, che possono ora muoversi verso un allentamento per motivi convenzionali (per supportare una domanda più debole o a causa di un’inflazione inferiore) senza incorrere nel rischio di essere accusati di agire solo per scopi politici”.

“Gli emergenti – prosegue l’economista - sono in una posizione migliore anche perché, avendo gestito bene l’inflazione finora, le aspettative sull’andamento di questa sono diventante più moderate tra consumatori e imprese. Un taglio dei tassi implicherebbe quindi un minore timore di un aumento incontrollato dei prezzi rispetto al passato. Purtroppo, la Turchia rappresenta un’eccezione e ha parecchia strada da fare in tal senso. Tuttavia, esistono anche dei limiti per le banche centrali emergenti: uno di questi è rappresentato dalle valute. Un easing aggressivo potrebbe indebolire le monete domestiche e il deprezzamento potrebbe impattare sull’inflazione e costringere ad interrompere prematuramente il ciclo di allentamento. Una considerazione fondamentale riguarda il differenziale dei tassi di interesse rispetto agli Usa, che è ciò che ha spinto le banche a inasprire le politiche monetarie nel 2018”.

“Tuttavia, considerando che la Fed probabilmente diventerebbe più accomodante in caso di rallentamento, che una crescita più debole generalmente esercita pressioni deflazionistiche e che le valute emergenti si sono già ampiamente deprezzate nel 2018 (riducendo quindi gli aggiustamenti necessari), è molto probabile che in caso di slowdown gli emergenti optino per misure accomodanti”, conclude Botham.

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