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Lex & The City - La prelazione, il socio danneggiato e l’acquirente imprudente

4/22/2015 | Russo De Rosa Associati - Studio Legale e Tributario

Il Tribunale di Milano torna ad occuparsi dell’argomento, molto dibattuto, della natura e dell’efficacia della clausola statutaria di prelazione societaria.


La decisione del Tribunale di Milano del 9 marzo 2015 torna ad occuparsi dell’argomento, molto dibattuto, della natura e dell’efficacia della clausola statutaria di prelazione societaria, con particolare riferimento alle conseguenze della sua violazione ed alla possibilità di tutela in via cautelare per i soci esclusi dall’offerta attraverso un provvedimento di sequestro giudiziario delle partecipazioni.

 

Il Tribunale di Milano ritiene, in sostanza, che l’esistenza di un diritto di prelazione in favore dei soci, stabilito convenzionalmente nello statuto della società, non legittimi i soci stessi al ricorso allo strumento del sequestro giudiziario qualora uno di essi, contravvenendo a detta prelazione, trasferisca le quote sociali a soggetti terzi.

 

Nel caso esaminato, due soci di una S.p.A. avevano conferito in una newco la propria partecipazione senza effettuare la denuntiatio, cioè senza aver preventivamente offerto in vendita le proprie azioni al terzo socio, così come previsto dallo statuto. Il terzo socio, ritenendosi danneggiato, chiedeva quindi al Tribunale in via cautelare il sequestro delle azioni e, in prima battuta, il Tribunale di Milano rigettava la domanda, ritenendo che il conferimento non configurasse un caso di trasferimento tra vivi della partecipazione e non rientrasse quindi nell’ambito di applicazione della clausola di prelazione statutaria.

 

Con il provvedimento in commento, reso in sede di reclamo, il Collegio – senza approfondire la interessante questione dell’applicabilità della prelazione al conferimento delle azioni – nega l’ammissibilità del provvedimento di sequestro, ritenendo non configurabile un diritto del socio pretermesso di riscattare la partecipazione ceduta in violazione della clausola di prelazione.

 

Secondo i giudici milanesi, infatti, la violazione della clausola di prelazione statutaria, in quanto opponibile erga omnes, produce bensì l’inefficacia dell’atto di trasferimento nei riguardi della società, a fronte della quale gli amministratori, onde evitare di incorrere in eventuali responsabilità, dovranno rifiutare l’iscrizione del trasferimento nel libro soci, pubblicità da cui dipende l’esercizio dei diritti patrimoniali ed amministrativi. Tuttavia, quanto alla tutela accordabile al socio pretermesso, stante il valore meramente obbligatorio della clausola inter partes, dovrebbero ritenersi sussistere solo conseguenze di natura risarcitoria a carico di chi ha violato il patto. Viene così escluso il diritto di riscatto (o retratto) per legge.

 

La decisione conferma quindi che, a differenza della prelazione parasociale, la prelazione statutaria ha un’efficacia estesa a tutti i soci presenti e futuri e, soprattutto, alla società stessa. Pertanto, laddove si realizzi un trasferimento senza il previo corretto esperimento della procedura di offerta in prelazione, la partecipazione ed i diritti in essa incorporati resteranno in una sorta di limbo, nel senso che l’acquirente non potrà esercitarli, ma neanche potrà farlo il cedente, che non è più titolare delle quote, né i soci prelazionari potranno riscattarne la proprietà dal cessionario. Sembra infatti doversi escludere che il trasferimento sia invalido per violazione della prelazione.

 

L’impasse può sbloccarsi o attraverso una rinuncia tout court alla prelazione da parte dei soci prelazionari (esplicita ovvero tacita attraverso il mancato esercizio della prelazione per un lungo periodo di tempo) o attraverso un annullamento degli effetti dell’atto traslativo (ad esempio mediante risoluzione consensuale del negozio tra cedente e cessionario ovvero revoca dell’operazione societaria), ovvero ancora attraverso la risoluzione consensuale della cessione originaria inefficace e la successiva rinnovazione della procedura di offerta della partecipazione agli stessi soci prelazionari, che, esercitando la prelazione, ne acquisirebbero la titolarità.

 

In conclusione, l’acquirente imprudente non potrà validamente esercitare i diritti sociali connessi alla partecipazione acquistata, realizzando così un’operazione rovinosa. Peraltro, fintantoché l’impasse sulla titolarità delle partecipazioni compravendite e dei diritti inerenti non venga risolta, si può verificare un pericoloso stallo per la società.

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