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I tassi bassi non sono una cura per l'economia

7/31/2019 | Giovanni Pesce*

Il commento del presidente di Fugen Sicav Raif dopo le ultime decisioni della Bce in politica monetaria


In una macroregione come l’Europa, in cui confluiscono abitudini finanziarie talvolta molto diverse tra loro, mi sono sempre domandato se un ribasso dei tassi, addirittura sotto lo zero, fosse il sistema aggregato migliore per rilanciare le economie. Parlo al plurale perché è ormai evidente che non esiste un’unica “economia europea”, quanto piuttosto un insieme di economie nazionali la cui somma algebrica diventa quell’indice sintetico di crescita o decrescita. Relativamente alle abitudini finanziarie, avendo lavorato in Francia, Svizzera Lussemburgo e Italia, posso affermare a ragion veduta che i comportamenti degli individui sono diversissimi e rappresentativi proprio di una storia finanziaria fortemente asincrona.

In Francia, ad esempio, da più di trent’anni non è il tasso di remunerazione della moneta a guidare il comportamento dei consumatori, quanto il rendimento degli investimenti. In Italia invece ancora oggi avviene il contrario, visto che l’investitore italiano è, a torto o ragione, ancora legato a una memoria storica da obbligazionista statico. In Germania il comportamento dell’investitore medio tende a svilupparsi in un equilibrio, mediamente oculato, tra strumenti di debito privato e investimenti in prodotti di gestione più o meno difensivi. La Svizzera, che non risente delle decisioni della BCE godendo del raro privilegio di disporre di una moneta sovrana, raccoglie un po’ tutti e tre questi comportamenti, anche per via della posizione geografica e del ruolo che storicamente svolge.

In più, la ricca Confederazione Elvetica offre alloggio e lavoro ai propri cittadini la cui vita inizia a essere, se escludiamo i mega milionari, un po’ come quella degli americani: un po’ di debito per le spese sanitarie, un po’ per il mutuo immobiliare, un po’ per il leasing della macchina, un po’ per le polizze previdenziali e sanitarie. E se avanza qualcosa dai seppur ricchi salari è per godersi una meritata vacanza sul lago di Costanza o sul Cervino. In uno scenario cosi composito temo sia abbastanza evidente che una misura che impatta sulla comunità non possa che avere effetti differenziati. Nei paesi in cui il debito privato integra le risorse da redditi, la discesa dei tassi diminuisce il costo del debito e quindi libera risorse per i consumi.

Ma in paesi come l’Italia, in cui la memoria storica permette di immaginarsi propensi al risparmio e di conseguenza alla creazione di moneta aggiuntiva destinata ai consumi, la discesa dei tassi o addirittura il loro azzeramento ha da tempo eliminato o fortemente ridotto quel reddito aggiuntivo che permetteva, per esempio, di pagare le spese del condominio semplicemente incassando le cedole dei BTP triennali (non di certo quarantennali come forse si dovrebbe fare oggi). Questo argomento, che tra l’altro serve ai nazionalisti per supportare la tesi secondo cui l’euro è un macroscopico errore (non addentriamoci in questo argomento più volte ampiamente affrontato) deve però essere oggetto di attenta valutazione, per evitare gravi distorsioni, soprattutto in Italia.

Immaginando che la logica keynesiana di ridurre i tassi per rilanciare gli investimenti e i consumi sia valida, oggi ci ritroviamo ad avere un sistema bancario mediamente paralizzato da pregressi errori di gestione del credito, che si trova a dover badare più alla difesa del patrimonio di vigilanza che al nuovo business; una produzione di new money scarsissima e spesso totalmente disintermediata dalla raccolta diretta delle banche; un rapporto tra i salari e il costo dei consumi primari assurdamente inesatto fin dal giorno dell’introduzione dell’euro; pensioni che, e almeno questo è un dato positivo, seppur per la maggior parte ancorate al sistema contributivo, si attestano intorno al 75% del reddito lavorativo fisso.

In questa situazione si potrebbe immaginare un effetto positivo dei tassi in ulteriore ribasso, ad esempio grazie all’impatto diretto sia sulle rate di un mutuo a tasso variabile erogato cinque anni fa sia su un nuovo mutuo. Ma al un giovane laureato appena assunto, magari con un contratto a termine, il mutuo chi lo dà? Tutti. Basta che il nonno rilasci una fidejussione o stipuli una polizza assicurativa. Ma anche il nonno percepisce una pensione con la quale probabilmente anche lui sta ancora pagando un mutuo trentennale che scadrà a esequie avvenute. E allora il vantaggio dei tassi fermi o ribassati passa ad altri strumenti finanziari, come le carte revolving o i finanziamenti personali, che però non sono a costo zero e rischiano di creare una spirale debitoria se non si è profondamente oculati nella gestione delle proprie finanze.

Mi viene il sospetto che i tassi sottozero facciano bene solo ai debitori. Per esempio, i soggetti che emettono obbligazioni. Tra cui spicca il Tesoro, l’unico che gode di marginali benefici. Ed ecco che arriva il mercato: quando un BTP sarà offerto con cedola decennale 0,45, ad esempio, chi sarà invogliato a sottoscriverlo? Deve cambiare l’educazione finanziaria di un paese, deve cambiare la tecnicalità delle gestioni che non possono essere più statiche o direzionali, deve cambiare l’efficienza di tutti i mercati secondari per permettere davvero una negoziabilità costante anche di strumenti largamente più ristretti di un BTP. Una volta che tutte queste cose saranno cambiate, forse i tassi risaliranno.

Ma perché la misura funzioni l’altra cosa che deve cambiare repentinamente è tutta la fiscalità legata al lavoro più che al risparmio. Perché se anche con i tassi a zero il prelievo sullo stipendio di un impiegato è del 36/40% e il costo aziendale quasi doppio non vedo proprio come possano liberarsi risorse per i consumi. L’Europa gestisce l’euro e i suoi parametri, compresi i tassi. L’Italia dovrebbe iniziare un percorso verso un sistema di leggi che stimolino i consumi sgravando famiglie e imprese, in primis snellendo la burocrazia che complica l’accesso al credito sia produttivo sia personale.

Questo non significa, chiaramente, venire incontro a debitori insolventi, ma progettare norme e disposizioni che limitino l’applicazione di spese di utilizzo e tassi di costo illogici rispetto al parametro monetario, oltre a favorire un’educazione all’uso oculato degli strumenti di credito e, in genere, delle rate. Chi governa non può e non deve distribuire soldi a pioggia. Ma può e deve normare in maniera drastica le funzioni, i costi e le modalità di esercizio di attività che competono in particolare a quel mondo di soggetti più o meno grandi che si chiamano istituti di credito. Che sarebbe bene, per legge, ricominciassero a fare davvero il lavoro per il quale sono stati costituiti ed autorizzati.

*presidente di Fugen Sicav Raif

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